George Marti
«I sogni nascono dalla diversità»
George Marti
(*1993). Da un annetto, Procap conta sulla collaborazione di Jonas Vögeli. Questo giovane di 20 anni sta seguendo un tirocinio di impiegato di commercio presso la sede principale di Olten. I suoi modi affabili sono molto apprezzati sia dal personale che dai soci che entrano in contatto con lui alla ricezione o al telefono. Affetto da una malattia rarissima, Jonas è abituato a trovare delle strategie.
Intervista Cinthya Mira Fotografie Markus Schneeberger
Procap: George, dici che la musica per te è più di una professione. Cosa intendi esattamente?
George Marti: Nella mia vita la musica è sempre stata una guida che mi ha permesso di integrarmi e di entrare in contratto con il mondo. I suoni e l’improvvisazione sono importanti per me fin da quando ero bambino. Ho iniziato a suonare il trombone all’età di sette anni. Ascolto e suono tutti i generi musicali e mi piace variare. Per me non conta tanto riempire gli auditori, anche se le esibizioni fanno parte del gioco, quanto lasciarmi guidare dalla musica in modo inconscio e intuitivo e grazie ad essa allenare anche gli altri sensi.
Cosa significa per te avere un impiego fisso presso la scuola di musica di Zugo?
Qui ho tutto ciò che mi serve per integrarmi nel mondo del lavoro. Durante le mie giornate lavorative trovo aule ben attrezzate, che mi permettono di lavorare in modo sicuro, variato e creativo. Insegno corno delle Alpi e trombone e tengo diversi corsi di improvvisazione. Allo stesso tempo conduco due workshop di jazz in qualità di co-docente. Il lavoro di squadra e l’interazione con le colleghe e i colleghi mi stanno molto a cuore. Qui si pone al centro l’empatia e la ricerca di soluzioni e di questo sono molto riconoscente.
Cosa vuoi trasmettere alle persone, giovani o adulte, a cui insegni?
Per me è importante che amino fare musica e che perseguano i loro obiettivi. Sento subito l’energia che trasmette una persona mentre suona o si cimenta per la prima volta nell’improvvisazione. La musica unisce le persone, indipendentemente dal fatto che siano giovani o anziane, principianti o esperte. Percepisco i progressi, il coraggio e le risate delle mie allieve e dei miei allievi. Ed è ciò che più conta.
In che misura ritieni che le tue lezioni siano diverse da quelle di un insegnante vedente?
Sono in grado di ascoltare e cogliere la musica con estrema precisione. Non aggiungo mimica né gestualità, ma dedico alle mie allieve e ai miei allievi tutta la mia attenzione, incoraggiandoli a scoprire il loro mondo di suoni. Ovviamente fornisco alle musiciste e ai musicisti anche gli spartiti, ma insegno molto in forma acustica. Da me imparano lo strumento anche attraverso l’intuito e l’improvvisazione. A mio avviso la diversità sta proprio nel fatto che ogni persona porta con sé qualcosa di individuale. Ed è solo così che nasce la vera inclusione e si stabilisce una buona collaborazione. Personalmente non ho mai visto qualcuno gesticolare con le mani mentre parla e non so come sia un sorriso e sono grato di essere apprezzato e accettato così come sono.
La tua cecità è congenita?
Non proprio. Un errore medico commesso nelle mie prime settimane di vita, mi ha causato il distacco della retina. Mi è rimasta una capacità visiva del 5 per cento. Si impara a conviverci e a capire che si è diversi. La cecità è un’esperienza soggettiva, non si conosce altro.
Quali consigli daresti a una/un giovane musicista non vedente?
Le/gli direi che nella vita è importante perseverare e sentirsi a proprio agio, seguire la propria strada, essere autentici e interagire con le altre persone per come si è. Inoltre, le/gli ricorderei che al di là di tutto è importante esercitarsi a lungo con lo strumento scelto.
Quante ore al giorno?
Non ho una risposta standard. La musica è qualcosa di speciale. Si può fare un parallelo con uno sportivo di punta: anche lui si allena quotidianamente. Durante il master a Boston e Valencia suonavo almeno sei ore al giorno. Ma il campus era aperto fino a mezzanotte e prima degli esami addirittura fino alle 4 del mattino. Lavoravamo giorno e notte ed è stato un periodo molto intenso e particolare.
Hai ancora sogni o obiettivi da raggiungere?
Mi piacerebbe continuare così e fare nuove esperienze. I sogni nascono dalla diversità e dall’ambiente che ci circonda. Vorrei strutturare maggiormente le mie giornate. Dopo il variegato periodo degli studi, sarei contento di poter collaborare regolarmente con un gruppo qui in Svizzera, di raggiungere risultati straordinari e di poter vivere di questo. Attualmente ho ancora diversi datori di lavoro, come spesso accade alle musiciste e ai musicisti.
Quali sono i tuoi punti di forza?
Sono versatile, adattabile e mi piace mettermi in gioco. La diversità è molto importante per me nella vita quotidiana e nella musica. Inoltre, mi piace informarmi su ciò che accade nel mondo, amo la natura, cucino volentieri e apprezzo i cambiamenti.
E cosa significa Procap per te?
Conosco l’associazione grazie alla mia condizione. Sono contento e grato per tutto ciò che Procap fa. Non penso solo all’aiuto personale, ma anche alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul fatto che anche le persone in situazione di disabilità possono dare un contributo e avere un impatto sociale. Tutte e tutti noi abbiamo solo da guadagnare se ci rispettiamo a vicenda e contribuiamo a un obiettivo comune con i nostri punti di forza e le nostre risorse individuali.